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La casa in una bottiglia. I. Il viaggio

La casa in una bottiglia. I. Il viaggio

La casa di nonna Nina

Casa, per Samantha Di Laura, era la casa di nonna Nina, quella rimasta sempre uguale, nei racconti e nella vita di una bambina nata a Vercelli da genitori siciliani. Originari, appunto, di una parte della Sicilia che poco risponde allo stereotipo della terra brulla e secca: verdi, pieni di sorgive, le Madonie sono in aperto contrasto con le valli gialle e i pendii pietrosi del centro della più grande isola del Mediterraneo.

Nella casa di nonna Nina, la nonna paterna, Samantha veniva portata appena finiva la scuola. Come s’usava a quel tempo, con un lungo viaggio dal Piemonte alla Sicilia, in macchina attraverso l’Italia uscita da poco dal boom degli anni Sessanta. Samantha passava a Scillato la lunga estate, tre mesi assieme a nonna Nina, figura considerata sino ad oggi, per lei, una sorta di nume tutelare per la forza tranquilla e la serenità.

La forza di una donna speciale

“Non mi mancavano i miei genitori, anche se ero molto piccola. È che la casa di nonna era rimasta sempre la stessa, una sorta di punto di riferimento. Ma non era solo una questione di luoghi. Era mia nonna che mi infondeva la forza. Non solo allora, da piccola, ma anche nelle prime esperienze da manager. In Spagna, per esempio, quando a 31 anni sono approdata in Ebrofoods, un gigante: il primo produttore, con Herba, di riso confezionato al mondo. In quel momento, al mio ingresso, ero l’unica donna manager, una giovane donna di 31 anni in un contesto solo maschile, di dirigenti che avevano, all’anagrafe, almeno vent’anni più di me”.

È in questi momenti, così lontani dalla Sicilia, che il ricordo di nonna Nina compare. “Nelle riunioni pensavo sempre a una scena. – racconta Samantha Di Laura – Mia nonna mi prendeva per mano, riempiva un secchio d’acqua con i fiori freschi e assieme andavamo al cimitero del paese per pulire la tomba di mio nonno. Lei mi parlava sempre di quest’uomo che amava tanto, e con cui il nuovo incontro, dopo la morte, era solo rimandato. È lei che mi ha reso serena di fronte alla morte, per la quale non ho repulsione. Ed è per questo che, quando nonna Nina è morta, alla metà degli anni Ottanta, la mia reazione è stata di estrema tranquillità: se n’era andata dal suo uomo. E io, per mio conto, ho continuato a parlare con lei, e a cercare la sua forza”

Quei dettagli che fanno la differenza

Eppure, di questa figura tanto amata Samantha non porta il nome, nonostante all’inizio degli anni Settanta (Samantha è nata a Vercelli nel 1972) fosse molto comune dare ai figli il nome dei nonni. Un dettaglio? Per nulla.

Dice invece molto del tessuto familiare e culturale in cui Samantha e le sue due sorelle sono cresciute. Genitori anticonformisti, li definisce l’imprenditrice. A partire proprio dal suo nome, un segno di quanto suo padre e sua madre fossero persone a cui quel tipo di Sicilia ostaggio della tradizione stesse molto stretta.

Fra le prime capostazione donna d’Italia

Qualche cenno della loro storia è importante per capire le scelte professionali e di vita di Samantha Di Laura. Erano arrivati perché la mamma di Samantha, Maria Agnese, si era decisa a fare il concorso nelle ferrovie, pur avendo una gran voglia di iscriversi all’università per poi poter insegnare. Risultato: concorso vinto, destinazione Vercelli.

Maria Agnese si trasferisce assieme a suo marito in Piemonte, diventa una delle prime donne capostazione donna d’Italia. Una eccezione che ingenera, proprio per questo, reazioni a volte comiche.

Come quando si ricovera in ospedale per partorire la sua primogenita (Samantha, appunto). Il personale disbriga le pratiche del ricovero, e le chiede la professione. E mia madre risponde “Capostazione”. “Non la professione di suo marito, signora. Le ho chiesto la sua, di professione”, e mia madre, di rimando “Appunto, Capostazione”.

Nasce, dunque, Samantha. Non c’erano Samanthe con l’acca, a quei tempi. I miei non volevano darmi il nome della nonna, e d’istinto mia madre scelse quel nome così inusuale. D’altro canto, lei era una donna che, in un momento di passaggio così importante per la storia italiana, aveva avuto occasioni rare.

Una su tutte: nove mesi negli Stati Uniti, nel 1968, da sola a Miami, dove viveva suo zio e soprattutto sua sorella, amatissima, di cui avrebbe atteso con gioia nel corso degli anni successivi le lettere con il bordo rosso e blu targate Air Mail. Andare negli USA per nove mesi da sola a 26 anni, provenendo da un piccolo paese della Sicilia, è lo specchio della sua modernità. E infatti mia madre ha lottato per studiare, ha lottato anche per essere riconosciuta nel suo ruolo di capostazione, con un incarico superiore a quello di molti suoi colleghi maschi”.

Una famiglia anticonformista

Una famiglia anticonformista, dunque. Non solo per la figura della madre, ma anche per quella di suo padre, l’anima artistica, riflessiva, filosofica. Uomo informale, interessato all’essenza, il padre ha influenzato nel profondo – secondo Samantha – la sua dimensione spirituale, e anche la scelta, alla fine del liceo, di andare a studiare filosofia.

Ero stata programmata per fare medicina, facoltà che mio padre aveva frequentato, come uno dei migliori del corso, per poi abbandonarla poco prima di laurearsi. Ma io non volevo. Volevo iscrivermi a filosofia, scelta osteggiata da mia madre. E allora, nel tentativo di affrancarmi, ho detto che mi sarei iscritta a lingue orientali per studiare hindi. A sciogliere i nodi fu la mia professoressa di greco, che mi propose “Ma perché non studi invece l’arabo, che può darti più chance?”.

Lei era andata alla Ca’ Foscari a fare ebraico antico, e io andai – come lei – a Venezia. Una scelta che ha segnato la mia vita”.

La poesia, il viaggio e Damasco

“L’arabo per me significava viaggiare. Uscire da un mondo occidentale conosciuto che cominciava veramente a starmi stretto. All’inizio volevo fare l’inviata di guerra. In fondo ho sempre avuto bisogno di confrontarmi con emozioni forti…”. L’università è per Samantha la scoperta delle sue molte passioni. L’arabo. La poesia. Il viaggio.

Tutti pilastri che portano a Damasco, la città dove vive a vent’anni per nove mesi assieme a due amiche. Consolida la conoscenza della lingua, comincia a leggere la poesia in arabo, e della poesia era innamorata sin da bambina.

Legge poesia takht el jasmin, sotto il gelsomino. Trova, insomma, la sua dimensione che è larga e oltre i confini di Vercelli. Comprensibile che quando torna nella sua città, Samantha si senta fortemente disorientata.

L’esperienza a Euricom

Eppure, è proprio a Vercelli che cerca lavoro, alla fine del percorso universitario. Vercelli, città del riso. E dopo i primi due mesi di lavoro in una piccola azienda, Samantha manda il suo curriculum all’Euricom, uno dei colossi del settore del riso. Fissato il colloquio, Samantha non si presenta perché sbaglia il giorno dell’appuntamento.

Quando la chiamano dall’Euricom, si scusa per l’errore e pensa di aver archiviato un’occasione. È però l’amministratore unico dell’azienda, Mario Francese, a richiamarla al telefono per proporle di farlo lo stesso il colloquio. Francese era rimasto colpito da quella ragazza che a vent’anni se n’era andata da sola a Damasco. “Non si preoccupi, mi disse, se ha imparato l’arabo, attraversando da sola il Mediterraneo, può imparare anche questo mestiere”.

Così è stato. A Euricom la formano per sei mesi, facendole esplorare tutti i settori dell’azienda, dall’ufficio della logistica ai laboratori. “A 26 anni, ero già export area manager per il Medio Oriente, dove mi mandarono a contrattare i carichi di riso con importatori d’esperienza. Ero una giovane donna che contrattava in arabo, una sorpresa per i miei clienti, di cui sono riuscita a guadagnarmi la fiducia non solo per la conoscenza della lingua, ma soprattutto per la conoscenza di un modo di vivere e di agire. Quel mondo l’avevo imparato a conoscere nella mia vita a Damasco”.

Era tempo di tornare a viaggiare

A Euricom Samantha trascorre cinque anni fondamentali per la sua formazione. Cinque anni importanti anche per Euricom, visto che alla fine del suo percorso più del 60% del riso esportato verso paesi terzi a livello europeo passava dall’azienda.

E quindi da lei. Era tempo, per Samantha, di continuare il suo viaggio, anche professionale, e di lasciare Vercelli, città troppo stretta per il suo sguardo ampio. La destinazione, stavolta, è la Spagna. Siviglia, per la precisione, uno dei centri dell’influenza araba nel Mediterraneo. Entra alla Herba, un vero e proprio gigante nel mondo del riso, e alla Herba continua a occuparsi di Medio Oriente.

Il “San Giuseppe”

Samantha, però, non si dimentica mai negli anni in Spagna di quella “casa” che non era a Vercelli e che non è neanche a Siviglia. Sulle pareti del suo ufficio, aumentano a dismisura le foto della Sicilia.

Un desiderio inconscio che diventa palese quando suo cugino le parla per la prima volta di Settesoli e le propone di consegnare il suo curriculum direttamente al presidente della cooperativa vitivinicola siciliana, Diego Planeta. Samantha decide di andarci in vacanza, in Sicilia, con la sua più cara amica. Non torna sull’Isola già da quattro anni. È il 2006. Alla fine della vacanza, le due donne giocano all’Enalotto con il preciso scopo di mollare tutto e trasferirsi sull’Isola, come per scaramanzia: in aeroporto, al momento della partenza, sfogliano il giornale, scoprono di non aver vinto. “Ma se vengo a vivere in Sicilia faccio il San Giuseppe”.

Il “San Giuseppe”, un rito complesso di ringraziamento che a Scillato coinvolge buona parte del paese. L’imprinting dell’infanzia sale alla gola come un segno di quello che sarebbe successo.

Commenti a caldo

Commenti a caldo

“Approvo il tappo a corona!” (Carlotta)

“Mio papà (87 anni, lunga esperienza di vini friulani) dice che Lucìe va reclamizzato di più insistendo sul lato femminile”. (Elisabetta)

” È fatto con grazia e passione, non nasconde nulla dell’uva di partenza. Anzi, la restituisce in pieno. Non è fatto per piacere a tutti ma, secondo me, piacerà a tutti”. (Paolo)

“Una signora che ne capisce, dalla Laura, ha detto che il vino precedente era 10 spanne sopra agli altri!! Indovinate qual era il vino?” (Ambra)

“Meraviglioso. Già ero pronta a litigare con il sughero e invece…” (Martina)

“Lucìe è veramente un’esperienza sublime…imparagonabile a qualsiasi altro bianco…amabilissimo, unico problema è che una volta aperto occorre finire la bottiglia”. (Alessandra)

“Noi adoriamo le bollicine e queste bollicine erano perfette. (Paola)

“Seee, intanto se l’è finito tutto mio marito!” (Savina)

L’aperitivo di Lucìe

L’aperitivo di Lucìe

Una donna siciliana che porta regali e luce

Santa Lucia è una delle figure più care alla tradizione religiosa e culturale di questo paese. Da Nord a Sud si celebra questa donna siciliana che porta doni, un po’ come fosse un Babbo Natale al femminile, e luce.

Quale migliore data, quindi, per brindare a Lucìe? Lucìe è un vino che parla di luce, di donne, di etica, di vita, quella vissuta bene e facendo del bene.

Condividere benessere

L’aperitivo ha avuto luogo a Menfi al Secolo 21, un elegante locale di recente apertura, nel rispetto delle norme di contrasto all’epidemia da COVID-19, perché la salute delle altre e degli altri sono, per noi, inderogabili.

La degustazione del vino è stata accompagnata da deliziosi prodotti locali e perlopiù vegetariani o vegani. Una giornata all’insegna del biologico, del benessere, di uno stile di vita sano ma non per questo poco dilettevole o ordinario. Al contrario, Lucìe vuole esprimere serenità.

La casa in una bottiglia. II. Il ritorno a casa

La casa in una bottiglia. II. Il ritorno a casa

Milano e Diego Planeta

Appuntamento il mattino successivo alle 8 in un albergo di Milano. “La mia prima gaffe con Diego Planeta l’ho fatta prima ancora di conoscerlo. Scesa dal taxi, ho chiesto a un signore distinto che si trovava sul marciapiede a fumare una sigaretta se poteva indicarmi l’ingresso dell’hotel. Cosa che lui ha fatto, con quella gentilezza che poi ho imparato ad apprezzare nel corso degli anni. Quando sono entrata e ho chiesto informazioni alla reception, mi hanno indicato proprio quel distinto signore fuori dal portone”.

Nuovi panorami e nuove prospettive

Samantha Di Laura e Diego Planeta conducono un incontro conoscitivo. La giovane manager presenta le sue ‘credenziali’ professionali, e poi rientra in Spagna. Passano i mesi senza alcuna notizia dalla Settesoli. Alla fine di febbraio del 2007, Samantha trasloca in una casa in campagna, fuori da Siviglia, vicino a Guadalquivir.
Sente la necessità di uscire dalla città e avere altri panorami, un’altra dimensione più vicina alle sue corde. Il sogno di una casa in campagna in Spagna dura, però, un solo giorno. Il I marzo Samantha riceve una chiamata da Diego Planeta invitandola ad andare a Menfi per un altro colloquio di lavoro, la chiameranno per i biglietti d’aereo.
Di quel colloquio Samantha ricorda anche la durata: sei lunghe ore. L’offerta di lavoro si consolida, e la prima reazione di una donna originaria di Scillato è: “Urca, ora mi tocca fare San Giuseppe!”.

Dalla Spagna alla Sicilia

Samantha torna in Spagna, prepara la sua uscita da Herba e il suo trasferimento, si rompe una gamba cadendo da cavallo, prende lo stesso un aereo verso la Sicilia con l’ingessatura e le stampelle, a rischio di avere delle pesantissime ripercussioni sulla gamba.

È il I luglio del 2007 approda finalmente a Menfi. Ha raggiunto un traguardo neanche tanto inconscio che si era prefissa fin da bambina, nonostante le fortissime perplessità dei suoi genitori.

Compie, cioè il viaggio inverso, dal nord verso il sud. E torna a casa. Una casa che non è più la casa di sua nonna a Scillato, ma è la Sicilia. La casa, l’approdo in cui scegliere di lavorare e vivere.

Le Cantine Settesoli

L’approdo in Sicilia e l’ingresso in Settesoli è anche una bella sfida professionale. Samantha diventa direttore commerciale di Settesoli per il settore della GDO. Deve far entrare con una presenza importante il marchio Settesoli sugli scaffali della grande distribuzione.

Un obiettivo nuovo per una manager che ha costruito la sua esperienza in ambito internazionale: l’Italia è un mercato estremamente sviluppato, per alcuni versi saturo, in cui la competizione è difficilissima.

“Dal punto di vista professionale, l’esperienza in Settesoli mi ha tolto il rapporto con i paesi mediorientali, ma mi ha restituito l’Italia e mi ha permesso di confrontarmi con la nostra GDO, la più difficile del mondo”, spiega Samantha. Un altro traguardo raggiunto, per lei, in otto anni di lavoro in Settesoli.

Le mie competenze e i contadini siciliani

“E ora?, mi sono chiesta. Per me è importante un cammino professionale fatto di tappe, di nuovi obiettivi. E allora me ne sono posto un altro: managerializzare e professionalizzare l’agricoltura italiana. Davanti a me ho avuto per anni un modello, Diego Planeta, contadino siciliano diventato imprenditore. Il mio fine, ora, è questo: portare le mie competenze e passarle ai contadini siciliani. Il che significa anche internazionalizzare, far comprendere che la conoscenza delle lingue straniere e delle esperienze all’estero – per esempio – sono atout fondamentali per far crescere un settore importante per la Sicilia.

Il potenziale del nostro Sud

“Non dimentichiamo che la Sicilia era, millenni fa, ed è ora il centro, il cuore del Mediterraneo, un luogo cerniera”. Samantha ha, sul potenziale della Sicilia, le idee chiarissime. “Le risorse naturali e le materie prime agricole, qui, sono infinite. E dal punto di vista imprenditoriale la Sicilia è, da ormai troppi anni, un luogo colonizzato da aziende che non hanno qui il loro centro. La Sicilia vende lo sfuso al nord Italia, che lo trasforma e monopolizza in questo modo il mercato. È per questo che, a mio parere, la Sicilia in generale deve cambiare quel suo modo di pensare che mette assieme la superbia e, allo stesso tempo, l’incapacità di fare impresa a tutto tondo, simboleggiata dalla svendita dei suoi prodotti. Del suo oro agricolo”.

Se questo è il problema di fondo, ciò non significa che la Sicilia non abbia mostrato, attraverso alcune imprese innovative, di poter agire diversamente. “Prendiamo il settore del vino”, spiega Samantha. “E’ ormai un brand riconosciuto in tutto il mondo, per esempio grazie a esperienze innovative come quelle di Donnafugata, di Giacomo e Gabriella Rallo. Ecco, io sogno di dare valore agli agricoltori siciliani e di far fare loro quel salto imprenditoriale necessario per il loro futuro. Perché io credo fortemente che l’agricoltura qui possa creare ricchezza. Che, per esempio, il biologico sia molto più facile qui in Sicilia”.

Nasce “Scirocco Ethical Management”

Sono state, tutte queste, ragioni bastanti per far compiere a Samantha Di Laura un altro passaggio di livello e farle prendere un’altra delle sue decisioni difficili e innovative. Creare la nel 2015 la propria società, la Scirocco Ethical Management. Il nome è importante: Scirocco è il soprannome che in famiglia Samantha ha sempre portato, un vento impetuoso e improvviso, come le sue scelte.

E poi quell’aggettivo, “etico”, fondamentale nella storia professionale di Samantha Di Laura, una manager diversa dagli altri. Una manager “del terzo tipo”, né vecchio stampo né aderente allo stereotipo del manager d’assalto, che lascia a casa i sentimenti e i valori.

“Scirocco nasce su queste basi: per trasferire competenza agli agricoltori siciliani, e per fare impresa innovativa. Cioè, per creare prodotti innovativi, com’è il caso del mio olio, Oliove, in cui si riconosce un preciso valore nutraceutico all’olio e dunque anche un valore economico che non svilisca il prodotto. E poi l’ultimo nato. Per meglio dire, l’ultima nata, Lucìe”.

Lucìe, vino integrale iconico e democratico

Lucìe, un vino, in un’isola che negli ultimi anni è stata sempre più conosciuta per il suo comparto vitivinicolo. Non è un azzardo? Cosa c’è di nuovo?

“Non c’è mai stato, sinora, un vino iconico della Sicilia. Un vino iconico e nello stesso tempo democratico, per tutti. Di qualità, di tradizione, moderno, senza orpelli. Per bere Lucìe, e per berlo bene e con piacere, non c’è bisogno di essere sommelier, non c’è bisogno di avere il bicchiere giusto in una gamma di bicchieri importanti e speciali a seconda del vino.

E anche il vitigno scelto, l’inzolia, dà nuova dignità a un vitigno lasciato per troppi anni nel dimenticatoio perché ricorda il vino dei contadini, il vino di famiglia, forte e poco gradevole. Così come abbiamo recuperato i grani antichi siciliani per le loro proprietà nutraceutiche, in un tempo di allergie crescenti, così voglio recuperare un antico vitigno.

E farne la base per un vino democratico, per il quale serve solo un apribottiglie per aprire un semplice tappo a corona. Di quelli che si usano, ancora oggi, per tappare le bottiglie della salsa di pomodoro, in uno degli ultimi grandi riti rimasti in Sicilia. In fondo, anche quel tappo a corona mi ricorda Scillato. Mi ricorda casa”.

Gustalo così

Gustalo così

Lucìe e un buon libro

Ottimo alla sera dopo una lunga giornata di lavoro, per un breve momento di relax prima di cena, accompagnato da un buon libro. Si abbina armoniosamente a tutti i piatti leggeri, dai primi ai secondi, passando per la pizza.

Gustalo così…

La scelta è tua

In versione opalescente bianco avorio, mezz’ora prima del servizio, capovolgi la bottiglia un paio di volte, al fine di ottenere una miscela omogenea di lieviti e vino. Poi, servi fino all’ultima goccia.

In versione limpida, lascia la bottiglia in posizione verticale nelle 48 ore precedenti al servizio e, al momento della mescita, maneggia delicatamente, evitando di smuovere il fondo che non deve essere versato nel bicchiere.