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Commenti a caldo

Commenti a caldo

“Approvo il tappo a corona!” (Carlotta)

“Mio papà (87 anni, lunga esperienza di vini friulani) dice che Lucìe va reclamizzato di più insistendo sul lato femminile”. (Elisabetta)

” È fatto con grazia e passione, non nasconde nulla dell’uva di partenza. Anzi, la restituisce in pieno. Non è fatto per piacere a tutti ma, secondo me, piacerà a tutti”. (Paolo)

“Una signora che ne capisce, dalla Laura, ha detto che il vino precedente era 10 spanne sopra agli altri!! Indovinate qual era il vino?” (Ambra)

“Meraviglioso. Già ero pronta a litigare con il sughero e invece…” (Martina)

“Lucìe è veramente un’esperienza sublime…imparagonabile a qualsiasi altro bianco…amabilissimo, unico problema è che una volta aperto occorre finire la bottiglia”. (Alessandra)

“Noi adoriamo le bollicine e queste bollicine erano perfette. (Paola)

“Seee, intanto se l’è finito tutto mio marito!” (Savina)

L’aperitivo di Lucìe

L’aperitivo di Lucìe

Una donna siciliana che porta regali e luce

Santa Lucia è una delle figure più care alla tradizione religiosa e culturale di questo paese. Da Nord a Sud si celebra questa donna siciliana che porta doni, un po’ come fosse un Babbo Natale al femminile, e luce.

Quale migliore data, quindi, per brindare a Lucìe? Lucìe è un vino che parla di luce, di donne, di etica, di vita, quella vissuta bene e facendo del bene.

Condividere benessere

L’aperitivo ha avuto luogo a Menfi al Secolo 21, un elegante locale di recente apertura, nel rispetto delle norme di contrasto all’epidemia da COVID-19, perché la salute delle altre e degli altri sono, per noi, inderogabili.

La degustazione del vino è stata accompagnata da deliziosi prodotti locali e perlopiù vegetariani o vegani. Una giornata all’insegna del biologico, del benessere, di uno stile di vita sano ma non per questo poco dilettevole o ordinario. Al contrario, Lucìe vuole esprimere serenità.

La casa in una bottiglia. II. Il ritorno a casa

La casa in una bottiglia. II. Il ritorno a casa

Milano e Diego Planeta

Appuntamento il mattino successivo alle 8 in un albergo di Milano. “La mia prima gaffe con Diego Planeta l’ho fatta prima ancora di conoscerlo. Scesa dal taxi, ho chiesto a un signore distinto che si trovava sul marciapiede a fumare una sigaretta se poteva indicarmi l’ingresso dell’hotel. Cosa che lui ha fatto, con quella gentilezza che poi ho imparato ad apprezzare nel corso degli anni. Quando sono entrata e ho chiesto informazioni alla reception, mi hanno indicato proprio quel distinto signore fuori dal portone”.

Nuovi panorami e nuove prospettive

Samantha Di Laura e Diego Planeta conducono un incontro conoscitivo. La giovane manager presenta le sue ‘credenziali’ professionali, e poi rientra in Spagna. Passano i mesi senza alcuna notizia dalla Settesoli. Alla fine di febbraio del 2007, Samantha trasloca in una casa in campagna, fuori da Siviglia, vicino a Guadalquivir.
Sente la necessità di uscire dalla città e avere altri panorami, un’altra dimensione più vicina alle sue corde. Il sogno di una casa in campagna in Spagna dura, però, un solo giorno. Il I marzo Samantha riceve una chiamata da Diego Planeta invitandola ad andare a Menfi per un altro colloquio di lavoro, la chiameranno per i biglietti d’aereo.
Di quel colloquio Samantha ricorda anche la durata: sei lunghe ore. L’offerta di lavoro si consolida, e la prima reazione di una donna originaria di Scillato è: “Urca, ora mi tocca fare San Giuseppe!”.

Dalla Spagna alla Sicilia

Samantha torna in Spagna, prepara la sua uscita da Herba e il suo trasferimento, si rompe una gamba cadendo da cavallo, prende lo stesso un aereo verso la Sicilia con l’ingessatura e le stampelle, a rischio di avere delle pesantissime ripercussioni sulla gamba.

È il I luglio del 2007 approda finalmente a Menfi. Ha raggiunto un traguardo neanche tanto inconscio che si era prefissa fin da bambina, nonostante le fortissime perplessità dei suoi genitori.

Compie, cioè il viaggio inverso, dal nord verso il sud. E torna a casa. Una casa che non è più la casa di sua nonna a Scillato, ma è la Sicilia. La casa, l’approdo in cui scegliere di lavorare e vivere.

Le Cantine Settesoli

L’approdo in Sicilia e l’ingresso in Settesoli è anche una bella sfida professionale. Samantha diventa direttore commerciale di Settesoli per il settore della GDO. Deve far entrare con una presenza importante il marchio Settesoli sugli scaffali della grande distribuzione.

Un obiettivo nuovo per una manager che ha costruito la sua esperienza in ambito internazionale: l’Italia è un mercato estremamente sviluppato, per alcuni versi saturo, in cui la competizione è difficilissima.

“Dal punto di vista professionale, l’esperienza in Settesoli mi ha tolto il rapporto con i paesi mediorientali, ma mi ha restituito l’Italia e mi ha permesso di confrontarmi con la nostra GDO, la più difficile del mondo”, spiega Samantha. Un altro traguardo raggiunto, per lei, in otto anni di lavoro in Settesoli.

Le mie competenze e i contadini siciliani

“E ora?, mi sono chiesta. Per me è importante un cammino professionale fatto di tappe, di nuovi obiettivi. E allora me ne sono posto un altro: managerializzare e professionalizzare l’agricoltura italiana. Davanti a me ho avuto per anni un modello, Diego Planeta, contadino siciliano diventato imprenditore. Il mio fine, ora, è questo: portare le mie competenze e passarle ai contadini siciliani. Il che significa anche internazionalizzare, far comprendere che la conoscenza delle lingue straniere e delle esperienze all’estero – per esempio – sono atout fondamentali per far crescere un settore importante per la Sicilia.

Il potenziale del nostro Sud

“Non dimentichiamo che la Sicilia era, millenni fa, ed è ora il centro, il cuore del Mediterraneo, un luogo cerniera”. Samantha ha, sul potenziale della Sicilia, le idee chiarissime. “Le risorse naturali e le materie prime agricole, qui, sono infinite. E dal punto di vista imprenditoriale la Sicilia è, da ormai troppi anni, un luogo colonizzato da aziende che non hanno qui il loro centro. La Sicilia vende lo sfuso al nord Italia, che lo trasforma e monopolizza in questo modo il mercato. È per questo che, a mio parere, la Sicilia in generale deve cambiare quel suo modo di pensare che mette assieme la superbia e, allo stesso tempo, l’incapacità di fare impresa a tutto tondo, simboleggiata dalla svendita dei suoi prodotti. Del suo oro agricolo”.

Se questo è il problema di fondo, ciò non significa che la Sicilia non abbia mostrato, attraverso alcune imprese innovative, di poter agire diversamente. “Prendiamo il settore del vino”, spiega Samantha. “E’ ormai un brand riconosciuto in tutto il mondo, per esempio grazie a esperienze innovative come quelle di Donnafugata, di Giacomo e Gabriella Rallo. Ecco, io sogno di dare valore agli agricoltori siciliani e di far fare loro quel salto imprenditoriale necessario per il loro futuro. Perché io credo fortemente che l’agricoltura qui possa creare ricchezza. Che, per esempio, il biologico sia molto più facile qui in Sicilia”.

Nasce “Scirocco Ethical Management”

Sono state, tutte queste, ragioni bastanti per far compiere a Samantha Di Laura un altro passaggio di livello e farle prendere un’altra delle sue decisioni difficili e innovative. Creare la nel 2015 la propria società, la Scirocco Ethical Management. Il nome è importante: Scirocco è il soprannome che in famiglia Samantha ha sempre portato, un vento impetuoso e improvviso, come le sue scelte.

E poi quell’aggettivo, “etico”, fondamentale nella storia professionale di Samantha Di Laura, una manager diversa dagli altri. Una manager “del terzo tipo”, né vecchio stampo né aderente allo stereotipo del manager d’assalto, che lascia a casa i sentimenti e i valori.

“Scirocco nasce su queste basi: per trasferire competenza agli agricoltori siciliani, e per fare impresa innovativa. Cioè, per creare prodotti innovativi, com’è il caso del mio olio, Oliove, in cui si riconosce un preciso valore nutraceutico all’olio e dunque anche un valore economico che non svilisca il prodotto. E poi l’ultimo nato. Per meglio dire, l’ultima nata, Lucìe”.

Lucìe, vino integrale iconico e democratico

Lucìe, un vino, in un’isola che negli ultimi anni è stata sempre più conosciuta per il suo comparto vitivinicolo. Non è un azzardo? Cosa c’è di nuovo?

“Non c’è mai stato, sinora, un vino iconico della Sicilia. Un vino iconico e nello stesso tempo democratico, per tutti. Di qualità, di tradizione, moderno, senza orpelli. Per bere Lucìe, e per berlo bene e con piacere, non c’è bisogno di essere sommelier, non c’è bisogno di avere il bicchiere giusto in una gamma di bicchieri importanti e speciali a seconda del vino.

E anche il vitigno scelto, l’inzolia, dà nuova dignità a un vitigno lasciato per troppi anni nel dimenticatoio perché ricorda il vino dei contadini, il vino di famiglia, forte e poco gradevole. Così come abbiamo recuperato i grani antichi siciliani per le loro proprietà nutraceutiche, in un tempo di allergie crescenti, così voglio recuperare un antico vitigno.

E farne la base per un vino democratico, per il quale serve solo un apribottiglie per aprire un semplice tappo a corona. Di quelli che si usano, ancora oggi, per tappare le bottiglie della salsa di pomodoro, in uno degli ultimi grandi riti rimasti in Sicilia. In fondo, anche quel tappo a corona mi ricorda Scillato. Mi ricorda casa”.

Gustalo così

Gustalo così

Lucìe e un buon libro

Ottimo alla sera dopo una lunga giornata di lavoro, per un breve momento di relax prima di cena, accompagnato da un buon libro. Si abbina armoniosamente a tutti i piatti leggeri, dai primi ai secondi, passando per la pizza.

Gustalo così…

La scelta è tua

In versione opalescente bianco avorio, mezz’ora prima del servizio, capovolgi la bottiglia un paio di volte, al fine di ottenere una miscela omogenea di lieviti e vino. Poi, servi fino all’ultima goccia.

In versione limpida, lascia la bottiglia in posizione verticale nelle 48 ore precedenti al servizio e, al momento della mescita, maneggia delicatamente, evitando di smuovere il fondo che non deve essere versato nel bicchiere.

Il tappo a corona di Lucìe

Il tappo a corona di Lucìe

Il tappo a corona di Lucìe

Il tappo a corona è uno degli elementi che spiazzano chi si avvicina a un vino come Lucìe, libero, versatile e di qualità. Perché nell’immaginario collettivo ad un vino di qualità è spesso associato l’utilizzo del tappo di sughero, classico e immortale. Eppure, è proprio (ma non solo) il tappo d’acciaio a preservare e garantire tutte le proprietà di Lucìe.

Perché, dunque, il tappo a corona?

È un tipo di chiusura che rappresenta una tradizione non solo siciliana. Basti pensare alle bottiglie della salsa di pomodoro delle nonne. La scelta di questo tappo, quindi, vuole richiamare un’usanza molto cara a questa terra, in virtù della quale ci si riunisce nelle calde giornate estive per “fare la sarsa”. Nonni, nipoti, zii… chi lava i pomodori, chi li mette a bollire, chi fa la passata e chi “intappa”. Gli ingredienti di una vera e propria festa.

Il tappo a corona non guarda, però, solo a passato. È anche una garanzia di qualità.

Lucìe è un vino frizzante, ragion per cui è stato necessario pensare alla conservazione del gas che genera le nostre amate bollicine. Il tappo a corona garantisce una maggiore capacità di resistenza alla pressione del gas.

Una chiusura in acciaio non è una scelta meno ecologica del tappo di sughero. È riciclabile all’infinito, se opportunamente smaltito. E se è vero che il tappo di sughero viene smaltito tra i rifiuti organici, è anche vero che non sempre il sughero viene utilizzato nel suo stato naturale: i fori naturalmente presenti in questo materiale vengono spesso riempiti con siliconi e/o paraffina.

La presenza di queste sostanze non naturali, di conseguenza, potrebbe alterare la qualità del vino.

Il tappo a corona, dunque, si sposa con la filosofia di Lucìe. Ricordate le nostre parole chiave: innovazione ma anche tradizione, qualità ma anche semplicità.